di Giuliano Santoboni
Un torrido sabato mattina di agosto in una stazione ferroviaria affollata e frenetica.
Bologna è un crocevia importante, uno scalo fondamentale tra la sviluppata rete ferroviaria del nord Italia ed i convogli a lunghissima percorrenza che stancamente vanno e vengono dal profondo sud.
Assonnati per la notte scomoda passata in cuccetta, Velia e Salvatore rispettivamente 50 e 57 anni, erano partiti da Brusciano, in provincia di Napoli, la sera prima dopo una piccola cena in famiglia per il compleanno di Salvatore, diretti a Mestre dove avrebbero dovuto partecipare ad un funerale. Un immancabile ritardo estivo accumulato sulla lunga tratta fino a Bologna, gli fece fatalmente perdere la coincidenza verso Venezia. Con lo stato d’animo proprio dei lunghi, caldi e noiosi viaggi, aspettavano che dall’altoparlante sistemato sulla colonna al centro dello stanzone della sala d’attesa di seconda classe venisse chiamato il loro nuovo treno.
Sicuramente, tra lettura di giornali, sventolate di ventagli e chiacchiere coi vicini, saranno poi andati anche a prendere un caffè e a fare colazione al bar accanto all’ingresso dell’ampio salone con le sedute di legno e ferro bloccate a terra, sfiorando o appoggiandosi addirittura ad un piano in muratura sulla parete li vicino, sotto il quale senza che nessuno ci facesse caso, c’era una valigia solitaria, ordinaria ed anonima.
Scoccano le 10.25 e il loro viaggio diventa eterno e senza ritorno. Proprio da quella valigia uguale a tante altre, esplode una devastante bomba artigianale composta da 23 kg di tritolo, nitroglicerina e TMD che distrugge parte dell’intero edificio e il treno Ancona Chiasso fermo al primo binario dietro la parete della sala d’attesa.
Insieme a Velia Carli e Salvatore Lauro, che lasceranno a casa 7 figli di cui alcuni ancora bambini, moriranno altre 83 persone comuni come loro, mentre i feriti arrivarono ad oltre 200.
con l’errata dicitura Bagno di Tivoli
Sono passati quarantacinque anni da quell’orrenda strage fascista, e dopo lunghi anni di inchieste, processi, e mille depistaggi sono stati condannati come esecutori materiali in via definitiva i terroristi neri dei NAR Giuseppe Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, oltre a Licio Gelli e ad una lunga e vergognosa serie di fiancheggiatori appartenenti ai servizi segreti e ad altri apparati dello Stato con varie accuse tra cui essere tra i mandanti ed aver cercato di depistare le indagini in ogni modo.
Dalle macerie lasciate dalla bomba emergeranno per anni storie e vite che non risparmieranno, con la loro striscia di dolore e sangue, nessun luogo d’Italia. Nemmeno Tivoli e Guidonia Montecelio.
Velia Carli era nata a Tivoli, come si legge negli elenchi ufficiali delle vittime, ma più precisamente a Bagni di Tivoli, il primo settembre 1930.
Nel territorio tra Bagni e Guidonia, conosce Salvatore un giovane maresciallo dell’Aeronautica Militare probabilmente in servizio all’Aeroporto di Guidonia. Si innamorano e appena diciottenne lei e venticinquenne lui, si sposano a Guidonia il 26 dicembre del 1948.
Qui la la coppia si stabilisce per alcuni anni e proprio nella città dell’Aria nascono due delle loro figlie, Giovanna nel 1949 e Maria Grazia nel 1950. Sempre a causa del lavoro di Salvatore, la famiglia si sposta in diverse zone d’Italia, fino a stabilirsi nel 1973 a Brusciano, in provincia di Napoli, dove Velia mette su una piccola attività commerciale di produzione e personalizzazione di magliette.
Oltre a Giovanna e Maria Grazia, la coppia avrà altri 5 figli negli anni successivi, tra cui la più piccola, Francesca, che al momento della strage aveva solo 9 anni.
Si legge sul sito www.stragi.it che la figlia Aurora Lauro avrebbe dovuto sposarsi la domenica successiva. Lo farà solo dopo diverso tempo, ma chiese al tribunale dei minori di poter tenere con sé e il suo futuro marito i due fratelli minori.
Patrizia, la terza figlia, racconta: “Non ci crediamo ancora, per noi papà e mamma non sono morti, è un po’ come se fossero partiti e non fossero ancora tornati. […] Sono stata io a dire alla mamma, quel venerdì sera, di non partire in auto. Era stanca, aveva fatto una giornata di lavoro, io le ho detto di prendere il treno. […] Sembrava che sentisse qualcosa. […] Pochi giorni prima, parlando della morte che ancora non aveva mai toccato la nostra famiglia, mi aveva detto: <<Se capita una disgrazia ricordatevi che sono cose da affrontare e da accettare, non da mettere da parte>>”.
La storia della famiglia Lauro e della loro barbara uccisione per mano di terroristi di estrema destra è una vicenda veramente poco nota nel territorio di Tivoli e Guidonia Montecelio. Nessuna via riporta il loro nome, nessun parco o centro comunale è intitolato loro e durante le commemorazioni, i comunicati stampa e le ricorrenze, nessuno ricorda la loro triste storia.