Premessa: vado dritto al punto accantonando politicismi o ragionamenti più articolati che, per quanto necessari, ci farebbero smarrire in un labirinto. E dico subito che la divisione non mi piace, mi provoca sofferenza e fastidio politicamente e anche psicologicamente.
Chiamatelo campo largo, chiamatelo campo giusto, chiamatelo – come piace più a me- campo costituzionale. O si chiami come si vuole. Ma per storia e convinzione sono sempre stato e adesso ancora di più sostenitore dell’unità di tutte le forze democratiche e antifasciste. Salvo casi davvero estremi.
Unità, quindi. Come il nome dato da Antonio Gramsci in quel giornale nel quale ho orgogliosamente scritto fino alla sua chiusura e che – negli anni in cui ci ho lavorato – era tutt’altro che una caserma ma un luogo nel quale hanno convissuto sensibilità diverse e trovavano spazio uomini di cultura e di scienza senza che si guardasse la tessera di partito o si esigesse la ‘fedeltà’ alla linea.
Se guardiamo al nostro passato possiamo pensare al Comitato di liberazione nazionale che ha guidato la Resistenza. Oppure a quei grandi politici che davvero possiamo definire padri della Patria che hanno saputo trovare la migliore sintesi possibile facendo scaturire dal pensiero comunista, socialista, azionista, cattolico, popolare e liberale una Costituzione che il mondo ci invidia e che dall’epoca della P2 di Licio Gelli in poi stanno cercando di picconare. Ora con maggiore convinzione.
Se scendiamo di qualche gradino e passiamo dall’alta idealità (che per me è comunque un valore) al terreno della praticità possiamo capire che senza alleanze serie le elezioni si perdono.
L’attuale maggioranza parlamentare è così ampia perché la lotta fratricida nei collegi ha spesso consentito l’elezione di parlamentari di destra che hanno ottenuto un risultato inferiore alla somma di quello dei candidati di opposizione.
Nella regione Lazio, come è stato evidenziato dalle più attente analisi del voto, Rocca ha superato il 50% anche perché la divisione delle forze di centro-sinistra ha demotivato una parte significativa dell’elettorato che dando per scontato l’esito del voto ha disertato le urne. Quindi la divisione ha spianato la strada alla destra.
E veniamo a Tivoli dove salvo sorprese quello che potremmo definire il ‘campo largo’ va verso due candidature. Una di 48 piazze e l’altra ancora da definire lungo un percorso che appare abbastanza accidentato e non privo di mal di pancia.
Si tratta delle elezioni comunali ma mi permetto di sottolineare che si svolgono insieme con le Europee. Elezioni che sono importantissime per tenere a bada la destra sovranista che prospetta un futuro lugubre come si sta tristemente vedendo nell’Ungheria di Orban dove gli spazi di agibilità democratica e del diritto all’informazione sono arretrati.
Lanciare sul territorio segnali contraddittori a livello locale certo non aiuta nel voto per il Parlamento europeo.
Ma torniamo a Tivoli. La domanda che faccio a me stesso e a chi mi legge è: ma queste divisioni sono davvero inevitabili? Dobbiamo alzare le mani prendendo atto che tutto è ormai deciso oppure, nel rispetto delle sensibilità e legittime aspirazioni di ciascuno, pensiamo che si possa trovare una soluzione che vada bene a tutti?
Non voglio passare da ingenuo perché non lo sono. Del resto anni e anni a indagare e studiare terroristi, trame internazionali, campagne di disinformazione e spie potrebbero testimoniare il contrario.
E tuttavia credo che anche su questo territorio l’unità di tutte le forze democratiche e costituzionali su una progetto comune non solo si possa ma si debba trovare. Forse la faccio facile perché in questi anni, pur avendo sempre continuato a vivere a Tivoli e conoscendone bene i problemi, il lavoro mi ha portato altrove e a occuparmi di temi che non avevano a che fare con la vita politica della nostra comunità. E quindi non ho – se lo posso dire in questo modo – ereditato liti, contrapposizioni, divisioni che mi pare di capire abbiano contribuito alle lacerazioni attuali.
Eppure, singolarmente, ho incontrato tante persone perbene, valide, con ottime idee, desiderose di aprire una nuova pagina per Tivoli e di guardare lontano. Persone che si sono ritrovate tutte insieme sui grandi temi, come è stato evidente quando abbiamo parlato di pace, di violenza sulle donne, di Palestina. E quindi è chiaro che c’è un sentire comune su tante cose che dovrebbe prevalere sulle differenze. Perché combatterci tra di noi e spianare la strada alla peggiore destra della storia della repubblica?
Perché non si riesce a trovare un terreno comune sia per la città di Tivoli che di fronte ad una fase storica nazionale e internazionale che vede gli stessi cardini della democrazia e dei diritti civili e sociali messi in discussione? Ho sempre detto – e non sono il solo – che molto spesso occorre il coraggio di fare un passo indietro per farne due avanti. Ho sempre detto che in uno sforzo collettivo (e in questo i giornali hanno dinamiche simili) la capacità non sta nel trovare un leader-dittatore ma un ‘primus inter pares’ capace di federare le differenze e di valorizzare tutte e sottolineo tutte le competenze e le capacità.
Nei giornali un direttore che si circonda di idioti per sentirsi più intelligente o che ordina senza ascoltare non dura a lungo. La direzione di un giornale funziona se tutti non solo si sentono ma sono a tutti gli effetti protagonisti.
Per questo, anche se siamo vicino allo scadere, ho scelto di lanciare questo accorato appello all’unità. Tra e dentro le coalizioni.
Non sta a me indicare percorsi. Se le primarie, che comunque darebbero un segnale di partecipazione e risveglierebbero un’opinione pubblica desiderosa di essere protagonista, se attraverso una sorta di conferenza programmatica al termine della quale – non prima – far scaturire le candidature, se un ‘conclave’ laico dove non si esce senza aver trovato una soluzione condivisa. In questi decenni di attività politica, giornalistica e culturale sono sempre stato dalla parte di chi costruisce ponti (Salvini a parte, ma quella è una storia di appalti e non di idealità) e cercato di far ragionare chi alimentava divisioni.
Non so se le mie parole serviranno a qualcosa o se divisioni così profonde non potranno essere colmate. Ma realmente non potevo tacere nel vedere di fronte a me tante potenzialità e tante opportunità e lasciarle svanire. Non voglio voltarmi dall’altra parte mentre avviene un delitto politico. Ci vuole unità, la consapevolezza di aver fatto tutto il possibile per cercare di vincere oggi ma nello stesso tempo costruire insieme il futuro. Lungimiranza per guardare lontano e alto e non fermarci alla contemplazione dei nostri piedi incapaci di vedere oltre.
Ps: in queste parole, in questo mio ragionamento il ‘buonismo’ non c’entra. Nessun ‘volemose bene’. È politica. Solo politica.