Il Sudafrica del post-apartheid: la grande fuga

Il 10 maggio 1994 Nelson Mandela veniva eletto presidente del Sudafrica. Ma, a trent’anni di distanza cosa sta accadendo nel paese? La storia di due giovani descrive un'inarrestabile 'fuga di cervelli' .

Il Sudafrica del post-apartheid: la grande fuga
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10 Maggio 2024 - 08.56 Culture


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di Lorenzo Lazzeri

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Il 10 maggio 1994, con l’elezione di Nelson Mandela alla presidenza, il Sudafrica ha abbracciato un periodo di grande speranza e cambiamento. La fine dell’apartheid ha segnato l’inizio di un percorso democratico per una società rinnovata, inclusiva ed equa, con il sogno di superare decenni di ingiustizie e divisioni razziali.

Negli ultimi trent’anni, però, il percorso verso la realizzazione di questi radicali cambiamenti è stato costellato da molti ostacoli. Il paese ha affrontato una stagnazione economica, una corruzione e criminalità dilaganti, con un contesto politico sempre più polarizzato.

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La disoccupazione è ancora dominante, in particolar modo tra i giovani, e le promesse di una ridistribuzione equa delle risorse non sono state mantenute, lasciando spazio ad una diffusa povertà.

La violenza urbana e rurale e gli scandali hanno continuato a dominare i titoli dei giornali, erodendo la fiducia nella capacità del governo di proteggere e servire i suoi cittadini.

Attualmente, il Sudafrica ospita circa 2,9 milioni di immigrati legali, ma l’ondata di xenofobia e le tensioni sociali si sono acuite, in parte a causa dell’impatto dei migranti illegali. Allo stesso tempo, si è generato un costante flusso inverso, una fuga, in particolare tra la popolazione bianca verso paesi come il Regno Unito, l’Australia e gli Stati Uniti, spesso motivato da delusioni verso il nuovo governo, contribuendo ad un progressivo allontanamento della popolazione bianca del paese, questo con riflessi notevoli sull’economia e sul tessuto sociale.

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Come l’esemplificativo caso di Johan e Thandi, entrambi cresciuti nella cittadina costiera di Durban.

Il primo è un ingegnere, figlio di immigrati provenienti dall’Europa di fine Ottocento. Dall’altra parte c’è Thandi, medico di recente specializzazione, una delle prime dottoresse di colore di etnia Sotho a terminare il percorso di studi.

La famiglia di Johan ha beneficiato delle politiche di apartheid, avendo accesso a risorse e istruzione di qualità, ma la sua fine ha aperto per la popolazione bianca un periodo di incertezza. Johan ha visto la nascita della democrazia con l’elezione di Mandela il 10 maggio del lontano ’94, percependola come un rinnovamento, anche se la sua famiglia ha mantenuto alcuni privilegi ereditati dal passato.

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Negli anni, ha assistito a un miglioramento nel dialogo interrazziale, notando una maggiore cooperazione tra le comunità, ma si è anche scontrato con la crescente corruzione che ha ostacolato la crescita del paese. Questa situazione gli fa guardare con sempre maggior frustrazione le istituzioni incapaci di eliminare completamente le disuguaglianze.

Thandi, invece, ha avuto un’infanzia profondamente segnata, anche se ha sempre sognato di diventare dottoressa rer aiutare la sua comunità. Con la fine dell’apartheid ha potuto farlo, grazie alle nuove politiche di inclusione e alle borse di studio aperte a tutti. Thandi ha lavorato e studiato duramente per superare le barriere impostele. Nonostante il suo successo, ha sperimentato la persistente disuguaglianza e xenofobia che tutt’oggi minano la coesione sociale.

Ogni giorno, nei suoi turni, vede i risultati della violenza, le disparità del sistema sanitario e l’impatto della politica sulla qualità dell’assistenza; fatti, questi, ulteriormente aggravati dalle violenze contro gli immigrati stranieri venuti in cerca di nuove possibilità.

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Di fronte a ciò, e nonostante le loro differenti provenienze, sia Johan che Thandi stanno contemplato la possibilità di lasciare il Sudafrica.

L’insicurezza riguardo al futuro economico e l’incapacità del governo di gestire le violenze, stanno spingendo Johan verso opportunità di lavoro in Australia, come unico modo per garantire una vita migliore e più sicura alla sua famiglia.

Thandi, dal canto suo, stanca della lotta continua per risorse adeguate nel settore sanitario ed è preoccupata per l’instabilità sociale e la violenza, vede l’emigrazione come la sola possibile via per esercitare la sua professione in un ambiente più stabile e supportivo.

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