Microsoft e Israele, il tech che diviene geopolitica

Dell'altro ieri la notizia che il cloud Azure non sarà più in uso da parte di Israele per spiare i palestinesi. Eppure la questione è più complessa. Non siamo più ai limiti della distopia, ci siamo dentro.

Microsoft e Israele, il tech che diviene geopolitica
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27 Settembre 2025 - 17.32 Culture


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di Caterina Abate

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Il Guardian ad agosto segnalava fino a 11500 terabyte di dati, 200 milioni di ore di audio, provenienti dai sistemi di sicurezza israeliani, stoccate nei server di Azure, piattaforma di cloud Microsoft. Probabilmente, come viene sempre specificato nell’inchiesta firmata da Harry Davies (Guardian) e Yuval Abraham (reporter del magazine indipendente israelo-palestinese +972), non tutti di proprietà dell’Unità 8200, sezione dei servizi segreti israeliani impegnata nella cybersecurity, ma bastevoli comunque ad indicare il legame di collaborazione sussistente tra questi e l’azienda tech di Redmond.

Un legame che pare da qualche giorno essersi allentato, ma che è illusorio credere possa spezzarsi definitivamente. Microsoft, pur smarcandosi dalla contribuzione attiva alla sorveglianza di massa dei palestinesi, continuerà sicuramente a mantenere forti legami con Israele, a cui fornisce da anni servizi implementati in vari ambiti, dall’istruzione alle carceri. 

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Come richiesto e ottenuto allora da Yossi Sariel, capo dell’Unità 8200, al Ceo di Microsoft Satya Nardella, l’uso di Azure era in campo già dal 2022, col fine di tener traccia e profilare fino a “un milione di chiamate l’ora” di cittadini palestinesi. Tale quantità di dati stoccati, che sarebbero dovuti servire a prevenire attacchi terroristici, soprattutto da parte di “lupi solitari”, non è servito a fermare l’attacco del 7 ottobre 2023. Nei seguenti 22 mesi di incremento dell’occupazione della Striscia di Gaza è aumentato anche l’uso dei sistemi di storage e monitoraggio di file tramite IA su Azure. Dati che hanno permesso di direzionare gli attacchi dell’Idf e con la morte di 60.000 persone, tra cui circa 20.000 bambini. 

La scelta di Microsoft di bloccare a Israele l’uso dei propri cloud arriva però tardi, solo in seguito all’inchiesta di +972 e Guardian, nonchè da una precedente indagine da parte della stessa BigTech, sospinta da mesi di pressioni da parte di impiegati e investitori di Microsoft, da cui non era però scaturita nessuna traccia di violazione. È lo stesso quotidiano inglese a riportare che, secondo fonti di intelligence, la rinuncia dall’azienda di Nadella ai servizi a Israele avvenga solo dopo pianificazione dello spostamento degli stessi ad altro competitor. Molto probabilmente sarà Amazon Web Services ad occuparsene adesso, seppur né Idf, né alcun portavoce della tech di Bezos abbia in alcun modo confermato. 

È difficile giungere ad un conclusione univoca sulla vicenda. Credere che Microsoft abbia voluto eroicamente passare dalla parte della storia di coloro che preservano vite umane appare semplicistico. Difficile anche illudersi che abbia voluto smarcarsi da Israele sotto pressione dei dipendenti (prima licenziati) e degli investitori. A prova dello scetticismo, sulla volontà di non voler essere implicato nel genocidio che quotidianamente vediamo compiersi, c’è il fatto che Microsoft continuerà ad essere a disposizione nel fornire servizi atti all’applicazione del regime di apartheid, negli ormai restanti brandelli di aree palestinesi. 

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Il plauso va, invece, alla capacità di analisi del giornalismo di inchiesta, che ancora una volta, insieme ai report di Francesca Albanese, è stato capace di mettere in luce le implicazioni delle grandi aziende nelle azioni genocide di Israele e, nello specifico, delle piattaforme digitali come infrastrutture di potere. Queste infatti non sono propriamente armi, ma strumenti utilizzabili a vari livelli e, in questo caso, nell’oppressione del popolo gazawo.

Come emerge nel report di Albanese, ciò che l’Idf mette in campo, nell’ambito del controllo e dell’oppressione fino all’annientamento, sono nuove pratiche sperimentali che tramutano Gaza e la Cisgiordania in veri e propri campi di avanguardia bellica. Nel pieno dell’era digitale in cui viviamo il controllo delle infrastrutture tech da parte delle corporate, a vantaggio o svantaggio di uno Stato, come in questo caso Israele, fa si che queste possano diventare ed agire come veri e propri attori geopolitici.

Non è più solo una distopia letteraria o videoludica. È la realtà della guerra contemporanea. 

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