di Francesco Tunda
Tadej Pogačar ha vinto i mondiali di ciclismo, i primi che si sono svolti in Africa. In Ruanda, per la precisione. Ha bissato il successo del’’anno sorso, confermandosi il più grande ciclista di questi nostri tempi. Era favorito ma l’impresa compiuta a Kigali – sia nel circuito cittadino sia nel tratto altrettanto duro che attraversava uno dei magnifichi parchi naturali – il corridore sloveno ha messo in strada una delle sue azioni prepotenti: ha cominciato, infatti, il suo attacco quando ancora mancavano 104 chilometri dall’arrivo.
In poco tempo ha recuperato i ciclisti che erano andati in fuga a cercar gloria, correndo poi gli ultimi 67 chilometri da solo. L’unico che ha tentato di resistere è stato il giovane Del Toro, gran bella promessa del ciclismo, ma ancora non maturo per affrontare una lunghezza di 267,5 chilometri con oltre cinquemila metri di dislivello complessivo. Il gruppo si è andato man mano frantumando ( anche l’italiano Ciccone, arrivato sesto, ha tentato inutilmente di resistere) con un ciclista dietro l’alto che si arrendeva al campione e alle fatiche del percorso. Partiti in trecento ne sono arrivato solo trenta.
Alle sue spalle, con un minuto e mezzo di ritardo, è arrivato il belga belga Remco Evenepoel, che alla vigilia era dato come il suo più temibile avversario. Sono duelli come questo a render peculiare il mondo del ciclismo. All’arrivo il belga ha pianto; è stato uno sfogo naturale e non solo per l’occasione mancata ma più che altro per non aver saputo tenere i nervi a posto quando ha avuto problemi tecnici con la propria bicicletta. Fatale è stato il fastidioso sellino.
A 27 anni Pogačar, al suo secondo mondiale consecutivo – vinto anche questo per distacco – eguaglia i grandi campioni del passato che hanno indossato per due volte consecutive la maglia iridata: Ronsse, Van Looy, Van Steenbergen, Bettini, Sagan e Alaphilippe.