La web tax fantasma e l’Europa che tace

L’uomo che ha appena elevato i dazi dal 25% al 35% al Canada solo perché Ottawa ha riconosciuto ufficialmente lo Stato di Palestina, non sembra tollerare alcuna forma di tassazione extra su imprese americane. L'ingresso dei dazi spostato al 7 agosto.

La web tax fantasma e l’Europa che tace
La stretta di manotra von der Leyen e Trump
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Marcello Cecconi Modifica articolo

1 Agosto 2025 - 11.12 Culture


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Meglio capirsi. Ursula von der Leyen non ha parlato della web tax nell’incontro scozzese sui dazi con il Presidente Trump, esclusivamente perché il problema non esiste! Insomma, se la web tax è sconosciuta anche al bilancio pluriennale 2028–2034 ora al vaglio del Parlamento e del Consiglio europeo, perché tirarlo fuori allo scomodo tavolino da tè sullo sfondo di quel Green dove il tycoon riesce a barare anche giocando a golf?

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Il tema della tassazione delle multinazionali digitali è tra i nodi più controversi della diplomazia economica globale ma il silenzio nel bilancio programmatico europeo è imbarazzante tanto e quanto la debolezza politica dell’Ue: una web tax europea dovrebbe essere approvata dai Paesi membri all’unanimità ma è cosa quasi impossibile dati i diversi interessi e le conseguenti divisioni interne. Dunque, non è un caso che l’argomento web tax sia stato silenziato negli accordi Ue-Usa

Un silenzio che suona più come un compromesso sotto pressione che come una reale strategia. L’accordo tra von der Leyen e Trump nel suo complesso, che non ha ancora nessuna validità giuridica (almeno per l’Ue è indispensabile un passaggio in Consiglio), è stato sbandierato da Trump come patto vincolante in cui l’Ue si è impegnata ai dazi, agli acquisti di energia e di armi, agli investimenti industriali in Usa, ma anche a non introdurre tasse sulle Big Tech.

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Mentre l’ordine di Trump per i patti concordati è stato firmato nella notte, spostando la data d’entrata in vigore al 7 agosto, per la web tax c’è stata una flebile risposta della Commissione europea per il Commercio: “Non cambiamo le nostre regole e il nostro diritto di regolamentare autonomamente nello spazio digitale”. Come dire che per ora lasciamo stare la web tax.

Eppure, l’idea di questa tassa non è nuova. L’Europa propone da tempo di tassare i profitti realizzati sul territorio europeo dalle grandi piattaforme digitali come Google, Amazon, Meta, Apple, che finora sfruttano le pieghe della normativa fiscale internazionale per pagare imposte minime, spesso in paesi a fiscalità agevolata come Irlanda o Lussemburgo, paesi membri che dunque non hanno nessun interesse a far passare la web tax a livello europeo.

La proposta della Commissione, più volte rilanciata dal Parlamento Ue, prevedeva un’aliquota del 3% sul fatturato generato da determinati servizi digitali nei paesi membri. Ma se adesso è sparita perfino dal bilancio preventivo dei prossimi sei anni c’è da credere che se non ci sarà prima una unica politica fiscale europea sarà complicato trovare l’umanità necessaria.

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Ecco perché il tema della web tax è scaricata dalla Eu al coraggio politico di ognuno dei Paesi che ne fanno parte tanto che solo 11 di loro, compresa l’Italia (nel 2020), hanno affrontato il problema introducendo delle “imposte sui servizi digitali” (Isd), mirate a colpire le Big Tech.

La strategia di Trump va oltre il vecchio e conosciuto soft power degli Usa, la sua è una diplomazia di leva economica, di minacce esplicite e ripicche tariffarie. L’uomo che ha appena deciso di elevare dal 25% al 35% i dazi per il Canada, solo perché Ottawa ha riconosciuto ufficialmente lo Stato di Palestina, non sembra incline a tollerare alcuna forma di tassazione extra su imprese americane.

Di fronte a tutto ciò l’Unione Europea appare come un gigante stanco e svogliato, impegnato più a negoziare con sé stesso che con il mondo esterno. La web tax doveva essere un segnale forte: che l’Europa sa difendere i propri cittadini, che le regole valgono anche per i colossi, che la sovranità digitale è parte integrante della sovranità economica. Invece, resta confinata alle conferenze stampa, ai documenti non vincolanti, ai bilanci in cui non compare.

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Non stupisce, quindi, che sul tavolo degli accordi la web tax sia misteriosamente sparita. Forse è il prezzo, simbolico o reale, per mantenere lo status quo commerciale con gli Stati Uniti. Forse è una resa mascherata da prudenza.

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