Caso Armani: la sporca filiera delle maison d'alta moda
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Caso Armani: la sporca filiera delle maison d'alta moda

Dietro ad abiti ed accessori di alta moda possono nascondersi storie di sfruttamento e sofferenza. E' il caso (non isolato) della casa italiana d'alta moda.

Caso Armani: la sporca filiera delle maison d'alta moda
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10 Aprile 2024 - 13.02 Culture


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di Azzurra Arlotto

Lo scandalo del caporalato nella filiera produttiva della Giorgio Armani Operations S.p.a. scuote il mondo della moda, svelando un’amara realtà: dietro alle cinture e alle borse griffate, si celano storie di sfruttamento lavorativo, di caporali che si arricchiscono a discapito di lavoratori in nero, pagati pochi euro al giorno e costretti a turni massacranti in condizioni precarie.

Un sistema fallato che alimenta un business da milioni di euro, dove l’eleganza del brand si trasforma in sfruttamento e dove la dignità umana viene calpestata e sacrificata in nome del profitto. La magistratura di Milano ha acceso i riflettori su un circolo di abuso che non si limita a opifici cinesi, ma che coinvolge anche aziende appaltatrici italiane, sostenuti da una rete di complicità che alimenta un sistema illegale e immorale.

Una struttura criminale quella del caporalato che danneggia l’intera filiera del consumo, dalle aziende virtuose ai consumatori finali.

Lo sfruttamento lavorativo non è, purtroppo, una novità nel mondo della moda e quello di Armani non è certamente un caso isolato. E’ già successo in passato che un grande brand italiano venisse accusato di sfruttamento dei lavoratori irregolari o di condizioni di lavoro inaccettabili nella sua filiera produttiva.

Uno dei casi più recenti ha visto coinvolto il marchio Gucci e la città di Prato, dove un’inchiesta ha rivelato che alcuni lavoratori addetti alla concia delle pelli erano esposti a sostanze chimiche pericolose senza le necessarie e adeguate protezioni. Molto simile anche il caso del 2021, messo in luce da Greenpeace: alcuni stabilimenti in Italia che producevano capi per Prada utilizzavano sostanze chimiche pericolose per l’ambiente e la per la salute dei lavoratori.

Questo caso rappresenta quindi l’ennesimo campanello d’allarme che evidenzia la necessità di un cambio di rotta nel settore del fashion. Tali avvenimenti dovrebbero servire da monito alle grandi maison della moda per poter riflettere e impegnarsi in modo concreto verso un futuro più etico e sostenibile, dove l’eleganza e il lusso non siano macchiati dallo sfruttamento e dalla sofferenza.

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