Il giornalismo di ieri e di oggi: la realtà de Il Giorno raccontata da Maurizio Boldrini
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Il giornalismo di ieri e di oggi: la realtà de Il Giorno raccontata da Maurizio Boldrini

Il prof. Boldrini, docente dell'Università degli Studi di Siena, descrive l'esperienza giornalistica de Il Giorno e di quello che è oggi il clima culturale e giornalistico italiano

Il giornalismo di ieri e di oggi: la realtà de Il Giorno raccontata da Maurizio Boldrini
Maurizio Boldrini
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8 Novembre 2024 - 12.34 Culture


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di Ludovico Conti

Il Prof. Maurizio Boldrini, docente di Storia della comunicazione e del giornalismo, ci accompagna in un viaggio attraverso l’esperienza unica de Il Giorno, il giornale fondato da Enrico Mattei nel 1956. A metà del XX secolo, in un’Italia che si stava ricostruendo dopo la Seconda Guerra Mondiale e che si avviava verso il boom economico, Il Giorno rappresentò una vera rivoluzione editoriale. Con uno stile grafico moderno e un approccio innovativo, il giornale riuscì a distinguersi dai tradizionali quotidiani italiani, offrendo un’informazione più vicina alla realtà sociale e culturale del tempo.

Professore, potrebbe darmi una panoramica del contesto storico e sociale in cui nasce Il Giorno? Qual era lo stato del giornalismo italiano tra gli anni ’50 e ’60?

Il Giorno nasce in un preciso contesto sociale, politico e giornalistico. L’Italia del dopoguerra si sta ricostruendo dopo il trauma della Seconda Guerra Mondiale. È un Paese raccontato dai media principalmente attraverso le decisioni politiche, le funzioni dei partiti e gli aspetti formali e costituzionali, ma si presta scarsa attenzione a quello che succede realmente nel Paese. È l’Italia dove inizia la costruzione dell’Autostrada del Sole, con il primo tratto che collega Milano, Roma e Napoli. Nel 1954 viene inaugurata la televisione e ci si avvia verso il periodo del boom economico.

Il Giorno aveva un’impostazione grafica moderna e diversa, e cercava di distinguersi dal Corriere della Sera. Quanto è stato importante per Il Giorno differenziarsi? E in che misura questa impostazione ha cambiato il modo in cui il pubblico percepiva l’informazione?

La grafica è sempre stata uno strumento per esprimere contenuti. La vera innovazione è stata nel merito di ciò che si voleva raccontare. Deciso questo, gli si è data una forma diversa, più simile ai tabloid, che rifletteva totalmente i contenuti innovativi. Il Giorno rompeva con la Confindustria, che insisteva per un liberismo accentuato, ma trovava anche un pubblico che guardava la televisione e voleva un giornale che non si limitasse a raccontare i palazzi del potere. La redazione era composta da giovani sparsi per tutta Italia, chiamati a raccontare il Paese in maniera nuova.

A Il Giorno si associavano irriverenza e anticonformismo. Esiste oggi un giornale simile a Il Giorno?

Il Giorno non era solo questione di irriverenza, ma di sostanza: c’era una cultura alta che iniziava a mescolarsi con la cultura popolare. Non a caso, a Il Giorno venne abolita la tradizionale terza pagina e si inviarono tanti giornalisti sul campo; si guardava alla cultura americana ma anche i primi fumetti. Era un modo diverso di concepire il giornalismo. Oggi, il contesto è cambiato; abbiamo una pluralità di giornali di tendenza assomigliano sempre di più a schieramenti partitici. Possiamo dire che ci sono schieramenti editoriali che corrispondono a schieramenti politici. Ed il lettore, seguendo lo schema delle bolle, compra quello in cui più si riconosce. Purtroppo, questa forte polarizzazione sta trascinando il giornalismo verso estremi che rischiano di appiattire il sapere e impoverire il dibattito culturale.

Il Giorno era considerato il giornale dell’ENI, ma riusciva comunque a fare giornalismo di qualità.

Il Giorno è un’esperienza che va contestualizzata. Allora, come oggi, esiste il tema della proprietà editoriale, ma il giornale riuscì a fare quello che fece grazie al supporto di un editore solido. I giornali di allora rispondevano principalmente agli interessi politici o economici, ma la grande differenza rispetto a oggi è la concentrazione editoriale e l’ingresso di nuovi soggetti, come gli editori puri. Le leggi italiane, però, spesso non rispondono alle esigenze reali del sistema editoriale e mantengono schemi arcaici. Anche il contesto politico, sociale e culturale influenza il tipo di giornalismo che si pratica. Se pensiamo alla realtà de Il Giorno, nasce in una Milano in cui c’erano Franca Rame, Giorgio Gaber e tanti altri. Un clima culturale che rendeva indispensabile un giornale del genere ed un giornale che si alimentava delle novità di quegli anni.

Quali elementi dell’esperienza di Il Giorno hanno influenzato il giornalismo italiano successivo? E in quali aspetti Il Giorno non è riuscito a lasciare un’impronta duratura?

Alcune lezioni di figure come Albertini, Pansa, Montanelli, e Scalfari sono state assorbite, anche se in modo non dichiarato. Oggi culturalmente sembra si stia creando un clima di piattezza; scarso contenuto del mondo. L’intellettualità, sembra più adatta a fare un perenne spettacolo televisivo che un serio impegno nel creare una cultura solida e rivolta alla gente. Giornalisticamente, invece abbiamo una tendenza a dare più importanza all’autorialità accompagnata da, un po’ come nella produzione industriale, tanti giovani sottopagati che lavorano nella “catena di montaggio” giornalistica impegnati a riempiere il giornale minuto dopo minuto. Questo porterà a una forte diversificazione: ci sarà un giornalismo per le masse e uno per l’élite.

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