Il vero significato della parola Resistenza
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Il vero significato della parola Resistenza

"La libertà" da conquistare con il pensiero e con le armi. Quel 25 aprile in cui Bossi sfilò in corteo: oggi Salvini lo rifarebbe?

Il vero significato della parola Resistenza
La liberazione di Firenze
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24 Aprile 2025 - 18.38 Culture


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di Giovanni Gozzini*

*Professore ordinario di storia contemporanea

Trent’anni fa nel 1994 l’Italia aveva appena votato Berlusconi. E quella che non l’aveva votato si dette appuntamento per il 25 aprile. Quando sei smarrito dal nuovo ti rifugi dentro casa. Quella mattina a Milano pioveva a dirotto e Umberto Bossi, il leader fondatore della Lega entrato in alleanza con il Cavaliere, sfidò i fischi della folla. Si fece tutto il corteo prendendosi l’insulto di traditore, ma voleva dare un messaggio.

Il 25 aprile è anche nostro, anche noi veniamo di lì. Dubito che oggi Salvini abbia non lo stesso coraggio, ma la stessa visione. Nessuno dei «partiti» oggi sulla scena politica trae dalla storia motivi di esistenza. Anzi. Spesso è una valigia di ricordi imbarazzanti che è meglio tenere nascosti. Il problema è che quando non hai motivi storici per esistere, finisci per fare le cose di potere: distribuire poltrone, gestire le briciole di spesa pubblica che ti rimangono, amministrare il voto di scambio con pezzi di elettorato sempre più piccoli e corporativi (tassisti, balneari …).

Eppure se apri la valigia di idee ne escono fuori. Non sono mai stato un fanatico della parola antifascismo. Per la semplice ragione che è una parola tecnica e negativa. Non ti dice niente su quello che vuoi fare. Certo, tutti i partigiani erano contro il fascismo. Se non altro per la altrettanto semplice ragione che li aveva portati in guerra e non solo l’aveva persa ma voleva anche che la combattessero insieme ai tedeschi fino alla fine. Eh no, basta. Abbiamo già dato. Quindi mi nascondo oppure se proprio devo combattere, scelgo io da che parte stare. Fin qui arriva l’antifascismo. Ma l’interessante arriva dopo. Cosa vuol dire democrazia? Cosa vuol dire repubblica? Cosa vuol dire rivoluzione? Cosa vuol dire uomo? E donna? 

Ecco la parte più significativa della parola Resistenza: chiacchierate di sera in montagna intorno al fuoco per disegnare un futuro comune. Libertà. Le armi erano solo lo strumento (non voluto ma imposto dagli altri) per difendere quello spazio riscaldato intorno al fuoco, dove parlare con la foga che ti dà un silenzio coatto ventennale. Ecco cosa vuol dire democrazia. Un terzo abbondante dell’umanità – tra russi, cinesi, africani – ha sperimentato concretamente questa parola solo per fugaci sprazzi nel corso della propria storia.

Noi italiani ce l’abbiamo dal 1945 e ce la teniamo ben stretta. Anche quelli che allora erano dall’altra parte almeno questo l’hanno capito. Che poter essere liberi è mille volte meglio che vivere sotto una dittatura. Anche se naturalmente la democrazia è più difficile di un regime dove basta essere uguali agli altri. In democrazia bisogna farsi le proprie idee (talvolta cambiarle) e discuterle con gli altri, senza la scorciatoia di imporle con la forza.

Spesso mi capita di discutere a scuola con studenti che dicono i fascisti vanno solo picchiati. Dico sempre le stesse due cose. La prima è che alla loro età pensavo esattamente la stessa cosa. La seconda è che ho cambiato idea (liberi loro di pensare che sono semplicemente invecchiato e rammollito) e che noi discutiamo con gli avversari per cercare di convincerli. Che abbiamo gli argomenti per farlo. Che la forza della democrazia sta nel suo essere diversa dai suoi avversari proprio per questo. La nostra Costituzione non è la più bella del mondo. È il frutto della traduzione istituzionale (un parlamento liberamente eletto) di quelle chiacchierate intorno al fuoco. E della difficile mediazione tra tante diverse culture, che riflettono il bello del mondo perché è vario. Si parla di persone umane o di lavoratori? Cattolici o comunisti? Tutti e due, dice la Costituzione.

Perché il bello (e il difficile) della democrazia è il dialogo vero che si stabilisce tra diversi: solo così mille pensano meglio di uno solo. Perché alla fine se vogliono ottenere dei risultati, devono ragionare su ciò che li unisce piuttosto che su quello che li divide. Pensate alle religioni (tante) che popolano la Terra. Per il 99% sono simili: ama il tuo prossimo. Poi si dividono su quisquilie: il nome da dare a Dio, chi sono quelli autorizzati a parlare in suo nome, cosa e quando mangiare … Sarebbe bello un parlamento delle fedi confessionali obbligato a trovare il minimo comun denominatore piuttosto che ragioni per nuove crociate. Ecco il bello della libertà: il 25 aprile ti spinge a divagare sulle ragioni della vita. 

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