76 anni di “1984”: il capolavoro orwelliano ancora attuale
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76 anni di “1984”: il capolavoro orwelliano ancora attuale

Profezia, avvertimento o campanella d’allarme: un romanzo del passato su un futuro distopico che ancora si muove nelle narrative presenti.

76 anni di “1984”: il capolavoro orwelliano ancora attuale
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8 Giugno 2025 - 19.07 Culture


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di Martina Narciso

Era l’8 giugno del 1949 quando venne pubblicato dalla casa editrice Secker & Warburg “1984”, acuto e visionario romanzo, a metà fra la narrativa distopica e la fantapolitca, che sarebbe destinato a ergersi come giudice silenzioso ma intransigente degli eventi storici e politici a venire. Il direttore della Fondazione Orwell e professore dell’Univeristà di Westminster, Jean Seaton, lo ha definito quasi un termometro, perché “prende le temperature” delle politiche globali: “la gente vi si affida per rinnovare la propria presa sul presente. È utile, perché ti ritrovi a pensare: ‘Quanto siamo messi male, in confronto a questo?’”

1984 è, in effetti, un monito oggi come allora contro le pretese totalitarie dei governi che tentano di piegare la realtà, le persone ma soprattutto la verità, perché “l’ignoranza è forza” e “fino a quando non si consente loro di poter fare confronti, non acquisiscono neanche coscienza di essere oppresse”. Oltre a essere un monito, è anche un invito a non farsi piegare, a identificarsi con la parte che all’oppressione tenta di ribellarsi, che rifiuta la passività degli eventi e difende la propria libertà a ogni costo.

Proprio in questo, forse, 1984, è profeticamente crudele: nel dimostrare che spesso il prezzo da pagare per la propria libertà è troppo alto e, pur avendola protetta con unghie e denti, non è impossibile che ne veniamo brutalmente privati, passando dall’essere oppressi a essere oppressori. È così che Winston Smith, colui che all’inizio non si piega – “L’ultimo uomo in Europa” come inizialmente George Orwell intendeva chiamare il proprio romanzo – alla fine smette di lottare, riuscendo “a trionfare su se stesso. Ora amava il Grande Fratello”.

Per rinfrescare la memoria, il Grande Fratello rappresenta simbolicamente un partito unico, a cui nulla sfugge perché tutto è controllato: da telecamere presenti in ogni dove che trasmettono la propaganda e riprendono le azioni dei cittadini, dai ministeri impegnati a sorvegliarne i membri e persuadere i dissidenti, dalla “psicopolizia” che si disfa delle persone che trasgrediscono alle regole del Partito. La storia è cancellata perché “chi controlla il passato – diceva lo slogan del Partito – controlla il futuro. Chi controlla il presente controlla il passato”, e la lingua epurata da qualsiasi termine e concetto che possa creare terreno fertile allo sviluppo di un pensiero critico individuale.  

Insomma, l’unica vita possibile è quella che segue i dettami del Grande Fratello, e ogni tentativo di insurrezione è un alto tradimento punibile con la vita stessa. Tutto è manipolato dal governo, persino ciò che di più intimo ha ogni individuo, ovvero le proprie idee e valori, sovvertiti dal “bispensiero”, cioè quella “capacità di accogliere simultaneamente nella propria mente due opinioni tra loro contrastanti, accettandole entrambe” e il canonico slogan “la guerra è pace, la libertà è schiavitù, l’ignoranza è forza” è la perfetta sintesi dei paradossi impartiti.

Storia di sorveglianza e di controllo, 1984 ritorna attuale nella nostra quotidianità, dalla Corea del Nord, regina della supervisione totale sulle persone, alla Cina e il suo sistema di “credito sociale” volto a sorvegliare la massa e premiarla o punirla a seconda degli esiti valutativi effettuati dagli individui, passando dalle notizie rielaborate della Russia fino ad arrivare agli shutdown totali della rete Internet durante le proteste in Iran o ai paesi del Medio Oriente dove l’informazione e la comunicazione non solo è controllata ma addirittura impedita.

La libertà di espressione è un lusso, e ancora di più lo è la libertà di pensiero, che al giorno d’oggi non è immune dall’essere messa a repentaglio. Anche i social media sono terreno fertile per il manipolo delle informazioni attaccando i giornalisti, promuovendo propaganda, incentivando la censura e favorendo il dilagarsi delle fake news; soprattutto, diventando il palcoscenico che fa eco alle ideologie di odio, rabbia e divisione utilizzate dalle narrative politiche moderne. Favorire poteri autocratici e tirannie è tanto più facile in un’epoca così digitalizzata come la nostra (non sono i nostri telefoni, forse, un’evoluzione meno distopica dei teleschermi di Orwell?), dove il controllo di massa e la manipolazione è reso possibile ancora di più grazie all’avvento della tecnologia.

Che il piccolo universo in cui si muove Winston Smith non sia tanto distante dalla nostra realtà attuale non è un’esagerazione se, più di una volta negli ultimi decenni, “1984” è spiccato nuovamente in vetta alle classifiche. Già nel 2017, dopo l’elezione del presidente americano Donald Trump, la casa editrice Penguin USA ordinò più di 75.000 copie e rivelò di star considerando una ristampa visto un aumento del 9,500% di vendite, stando al New York Times.

I crudi temi evocati da George Orwell hanno ispirato anche cantanti come David Bowie e Steve Wonder con rispettivamente 1984 (1974) e Big Brother (1972), o i Radiohead e i Muse che si rifanno esplicitamente ai temi del romanzo con 2+2=5 (2003) e brani come United States of Eurasia, Uprising e Resistance.

Una profezia, ma anche un avvertimento, ora come allora 1984 ci invita a rimanere vigili, a batterci per le nostre libertà, a guardare al presente con lucidità e consapevolezza e difendere quella democrazia che, spesso, è messa a repentaglio.

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