di Caterina Abate
Il nuovo rapporto statistico 2025 della Caritas Italiana dipinge un quadro tutt’altro che rassicurante. In netto contrasto con le dichiarazioni del governo, il documento segnala un aumento della povertà e una crescente instabilità nel paese. Una situazione in peggioramento rispetto all’anno precedente, che – se confrontata con il passato – risulta persino più grave di quanto si sarebbe potuto temere.
A trovare accoglienza nei centri di ascolto e servizi della Caritas nel 2024 sono state in totale 277.775 persone, alle quali, possiamo supporre, corrispondano un numero analogo di nuclei familiari allargando, quindi, il numero di indigenti. Un dato che è in crescita del 3% rispetto all’anno precedente e del 62,6% rispetto al 2014. Di queste persone, il 42,1% sono italiani, mentre il 56,2% sono stranieri (la restante parte è apolide o con doppia cittadinanza). Gli italiani che vivono in povertà assoluta sono il 9,4% della popolazione, pari a 5 milioni e 694 mila persone.
Confrontando il dato italiano con gli altri paesi in Europa, l’Italia si colloca al settimo posto – con il 23% della popolazione – per l’incidenza delle persone che sono a rischio povertà od esclusione sociale. Non solo aumentano i poveri assoluti, ma il dato preoccupante (in un report che già non presenta dati positivi) è l’aumento di coloro che, pur avendo un lavoro, non riescono ad uscire dall’indigenza, con una percentuale del 30% tra i working poor , i lavoratori poveri, nell’intervallo di età tra i 35 e i 54 anni.
Il 21% dei lavoratori italiani ha, inoltre, un reddito troppo basso per vivere in modo adeguato e, tra i paesi del G20, l’Italia ha il dato peggiore riguardo la perdita di potere d’acquisto degli stipendi, che nel lasso di tempo intercorso dal 2008 al 2024 è del’8,7%. Connesso a ciò, anche le retribuzioni reali si sono ridotte, nell’arco di dieci anni, del 4,4% e il potere d’acquisto è comunque peggiorato di molto a causa dell’aumentare del caro vita, nonostante l’inflazione nel corso degli anni abbia avuto un rallentamento.
Preoccupante anche il numero di anziani in difficoltà, tali da doversi rivolgere ai centri Caritas. È, infatti, raddoppiata la percentuale di over 65 che dal 2015 al 2024 vi si recano: dieci anni fa si parlava del 7,7% della popolazione, mentre l’ultimo rapporto riporta un 14,3%.
Connesse all’aumento della povertà che il report denuncia vi sono la rinuncia alle cure, anche per chi ha problemi molto gravi, e il disagio abitativo. Per il primo, parliamo di 6 milioni di italiani che rinunciano alle prestazioni sanitarie essenziali sia per costi che per attese eccessive. Per quanto riguarda il secondo, sono il 23% le persone che vivono in condizioni di grave esclusione, senza casa, in case inadeguate o insicure, senza tetto o ospiti dei dormitori.
I fattori di povertà non sono quindi esclusivi, piuttosto sono interconnessi tra loro, rendendo sempre più complicato uscire dalle situazioni di indigenza.
Il rapporto Caritas fa, infine, emergere come la situazione sia peggiorata anche a causa dell’abolizione del reddito di cittadinanza, perché solo il 15% di chi prima lo percepiva ha avuto accesso alle misure alternative, come l’assegno di inclusione o il supporto per la formazione e il lavoro. La causa dell’85% di esclusi sta nei requisiti più rigidi di accesso, ma anche l’assenza di presa in carico da parte delle istituzioni e delle barriere informatiche che non c’è modo di abbattere a causa di una povertà educativa cronica in alcune aree del paese.
A riguardo il presidente della Caritas, mons. Radaelli, ha dichiarato a Francesco Ricupero su Vatican News quanto sia fondamentale combattere la povertà educativa: “Si pensa che basta dare dei soldi a chi deve pagare l’affitto o a chi si trova in difficoltà per il lavoro. Ma in realtà quanto più una persona ha una competenza, tanto più riesce anche a utilizzare gli strumenti. Una difficoltà che avvertiamo nei nostri centri di ascolto è l’orientamento ai servizi sociali o per esempio aiutarli a usare lo spin. Molti fanno una grande fatica in questo senso e così si rischia di trovarsi in una povertà che si cronicizza e che diventa anche una povertà familiare. Quindi aiutare ad avere anche più consapevolezza dà maggiore cultura e sicuramente può aiutare molto magari non sull’immediato, ma sul medio-lungo periodo”.