Mikhail Gorbaciov e Vladimir Putin tra un passato di glasnost e un presente di autarchia
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Mikhail Gorbaciov e Vladimir Putin tra un passato di glasnost e un presente di autarchia

L’ultimo Presidente dell’Unione Sovietica vinse il Premio Nobel per la Pace il 15 ottobre 1990 e Putin, se nascerà il "Premio Rasputin per la Resistenza alla Diplomazia" ne sarà il primo e insuperabile candidato

Mikhail Gorbaciov e Vladimir Putin tra un passato di glasnost e un presente di autarchia
Putin e Gorbaciov
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Marcello Cecconi Modifica articolo

15 Ottobre 2024 - 20.07 Culture


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Al telefono, quel 15 ottobre 1990, non era tovarišč Lenin dall’oltretomba e nemmeno il fidato Hurenko dal Politburo. “Congratulazioni, presidente Gorbaciov, lei ha vinto il Premio Nobel per la Pace!” A quell’altro capo del filo era invece il segretario del Comitato del Premio Nobel di Oslo e Mikhail Gorbaciov, ancora presidente dell’Unione Sovietica, restò un attimo perplesso chiedendosi se quella fosse una delle solite trappole del capitalismo.

Tutto era vero, un presidente sovietico, figlio della rivoluzione e della rigida disciplina del partito, aveva appena ottenuto il massimo riconoscimento internazionale per la sua opera di distensione durante la Guerra Fredda. Un sovietico che faceva pace col mondo? Quasi surreale. Eppure quel Premio Nobel per la Pace 1990 segnò l’apice del riconoscimento globale a Gorbaciov per aver ridotto le tensioni tra Oriente e Occidente e aver gettato le basi per la fine della Guerra Fredda.

Sotto la sua leadership, il Muro di Berlino crollò come un castello di carte in un giorno di vento, i paesi satelliti dell’Est Europa iniziarono a ballare la polka della democrazia e persino gli Stati Uniti, con Ronald Reagan, passavano da considerare i Paesi dell’Europa dell’Est “impero del male” a pensarli possibili partner commerciali.

Scorrono velocemente pochissimi decenni e nella stanza dei bottoni del Cremlino c’è un uomo che, a differenza del suo predecessore, sembra fare tutto il possibile per evitare di trovarsi tra le mani quel dorato riconoscimento di pace: Vladimir Vladimirovich Putin. In un’epoca in cui la parola “distensione” è stata chiusa in un cassetto (e la chiave buttata via), Putin è il leader che vuole riportare la Russia al suo antico splendore, con uno slogan speciale: meno Nobel per la Pace, più missili ipersonici.

Se Gorbaciov credeva nel dialogo e nel compromesso, Putin sembra invece vedere il mondo come una gigantesca scacchiera, dove la pace non è altro che un momento di pausa tra una mossa e l’altra. Insomma il contrasto è evidente, Gorbaciov smantellava testate nucleari, Putin le modernizza; Gorbaciov voleva più trasparenza, Putin preferisce mettere la museruola ai media. E mentre Gorbaciov è stato celebrato per aver evitato conflitti armati, Putin è impegnato in operazioni militari su più fronti senza parlare di quelle guerre invisibili a colpi di hackeraggi e disinformazione.

In fin dei conti, Gorbaciov e Putin rappresentano due facce opposte della stessa moneta russa: uno ha aperto le porte al mondo e cercato la pace; l’altro sembra volerle chiudere, preferendo la forza alle parole. È improbabile che un giorno il Comitato Nobel di Oslo possa telefonare a Putin che pare ormai aver scelto di puntare al premio opposto al Nobel per la Pace, e così quando nascerà il “Premio Rasputin per la Resistenza alla Diplomazia”, sarà il primo e insuperabile candidato.

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