Cento giorni di guerra, insieme contro la disumanizzazione
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Cento giorni di guerra, insieme contro la disumanizzazione

Un impegno nobile. Una battaglia di civiltà, l’unica che vale la pena “combattere”. Insieme, per combattere la disumanizzazione nei due campi.

Cento giorni di guerra, insieme contro la disumanizzazione
Manifestazione pro-Palestina a Londra
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

13 Gennaio 2024 - 17.46 Globalist.it


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Un impegno nobile. Una battaglia di civiltà, l’unica che vale la pena “combattere”. Insieme, per combattere la disumanizzazione nei due campi.

Un impegno da sostenere, rilanciare. 

Grazie a JCall.

“Noi sottoscritti  ci impegniamo a combattere la disumanizzazione degli abitanti di Gaza, dei palestinesi e dei musulmani così come la disumanizzazione degli israeliani e degli ebrei in generale.

Come sostenitori dei diritti umani, dobbiamo lottare contro l’apartheid  e l’oppressione. Ma ciò non dovrebbe implicare la demonizzazione dei civili, e questa lotta non deve perdonare il massacro e le atrocità commesse contro i civili israeliani e di altre nazionalità il 7 ottobre. Allo stesso tempo, il largo sostegno fra il pubblico israeliano per la rappresaglia a Gaza –una rappresaglia che di per sé ha prodotto una terrificante quantità di uccisioni e di sofferenze- così come l’appello da parte di importanti personaggi pubblici (e di parte dell’opinione pubblica israeliana) in favore della pulizia etnica e del trasferimento della popolazione, sono motivo di profonda preoccupazione. Nell’occidente è emersa in alcuni ambienti giovanili una preoccupante tendenza a disumanizzare gli israeliani, e qualche volta gli ebrei. Vengono assimilati all’oppressione israeliana, e questo serve a giustificare la loro uccisione o la violazione dei loro diritti. Ciò è dimostrato, inter alia, dall’atteggiamento distorto o indifferente nei confronti della questione degli ostaggi di Gaza diffuso in questi ambienti. Specularmente, in Israele e in generale negli ambienti pro-israeliani a livello mondiale è diffusa  la disumanizzazione dei palestinesi in generale e degli abitanti di Gaza in particolare, soprattutto tramite la loro assimilazione ad Hamas. Questa è usata allo scopo di razionalizzare le uccisioni indiscriminate e il rifiuto di aiuti umanitari. Anche la crescente ondata di islamofobia in occidente, in base alla quale i musulmani in generale sono descritti come terroristi, è riprovevole e preoccupante.

La disumanizzazione degli israeliani e degli ebrei, così come quella dei palestinesi e dei musulmani, sono inaccettabili. Una persona non è solo la rappresentazione di un’identità collettiva, della storia, di particolari eventi o di un orientamento politico. Un approccio coerente dal punto di vista umano  deve affrontare questi inaccettabili sviluppi.

Inoltre,  è necessario fare una distinzione fondamentale fra proteste a favore della Palestina e sostegno per i crimini contro gli israeliani. Lo spazio concesso alle manifestazioni pro Palestina non deve essere limitato, come è successo di recente in molti casi. Al tempo stesso dobbiamo opporci ad ogni giustificazione di crimini contro i civili, indipendentemente dalla loro identità e da dove si trovino.

I sottoscritti dichiarano quindi il loro impegno a protestare ad alta voce contro la disumanizzazione dei palestinesi, dei musulmani, degli israeliani e degli ebrei.

Primi firmatari: Achinoam Nini (Noa), Ala Dakka, Amichai Lau-Lavie, Ari Folman, Arie Krampf, Avi Dabush, Avi Mograbi, Avigail Sperber, Avner Gvaryahu, Avshalom Pollak, Axel Honneth, Barak Heymann, Dalit Matatyahu, Dan Yakir, Daniel Hacklai, David Grossman, Dov Khenin, Eran Tzidkiyahu, Esawi Frej, Esti Zakheim, Eva Illouz, Eyal Rozmarin, Gadi Algazi, Gideon Lester, Hagai Levi, Hagai Boas, Hannan Abu-hussein, Hava Karavan, Henriette DahanKalev, Iris Leal, Iris Zaki, Itamar Mann, Itay Tiran, Joshua Simon, Khader Agami Abu-Seif, Kohei Saito, Lahav Halevy, Libby Lenkinski, Menashe Noy, Michael Sfard, Michal Aviad, Michal Heiman, Michèle Lamont, Miki Kratsman, Molly Malekar, Morad Hasan, Mossi Raz, Nadav Lapid, Nissan Shor, Nito Hoffman, Noam Sheizaf, Ofer Cassif, Ofer Dagan, Ofri Ilany, Ohad Naharin, Raluca Ganea, Rani Blair, Ranin Boulos, Roee Rosen, Ruchama Marton, Shede Abbass, Shira Geffen, Shlomi Elkabetz, Slavoj Žižek, Tamar Getter, Tamar karavan, Thabet Abu Rass, Tomer Heymann, Tomer Persico, Udi Aloni, Yael Sternhell, Yanal Jabarin, Yonatan Gher, Yossi Dahan, Yossi Zabari‏, Yuli Novak, Zeev Engelmayer, Ziv Stahl, Zohar Wagner.

Dopo quasi 100 giorni di violenze, uccisioni, bombardamenti e prigionia per i bambini a Gaza, la sofferenza è stata troppa.

Così la Rappresentante speciale dell’Unicef per lo Stato di Palestina Lucia Elmi durante la conferenza stampa tenutasi oggi al Palazzo delle Nazioni di Ginevra. “Ogni giorno che passa, i bambini e le famiglie nella Striscia di Gaza affrontano un rischio sempre maggiore di morte a causa degli attacchi aerei, di malattie dovute alla mancanza di acqua sicura e di privazioni per la mancanza di cibo. E per i due bambini israeliani ancora in ostaggio a Gaza, l’incubo iniziato il 7 ottobre continua.

E la situazione continua a deteriorarsi rapidamente. La scorsa settimana l’Unicef ha parlato della “tripla minaccia” che perseguita i bambini nella Striscia di Gaza: conflitto, malattie e malnutrizione. Stiamo facendo tutto il possibile, ma ci troviamo di fronte a una sfida enorme nell’affrontare questi problemi.

I bambini di Gaza non hanno più tempo, mentre la maggior parte degli aiuti umanitari salvavita di cui hanno disperatamente bisogno rimane bloccata tra corridoi di accesso insufficienti e livelli prolungati di ispezioni. L’aumento dei bisogni e una risposta limitata sono la formula per un disastro di proporzioni epiche.

Migliaia di bambini sono già morti e altre migliaia ne moriranno rapidamente se non risolviamo immediatamente tre urgenti ostacoli:

Primo – la sicurezza: Nessun luogo è sicuro nella Striscia di Gaza. Gli intensi bombardamenti e il conflitto in corso nelle aree urbane densamente popolate minacciano la vita dei civili e degli operatori umanitari.

I bombardamenti impediscono anche la consegna di aiuti disperatamente necessari. Quando sono stata a Gaza la scorsa settimana, abbiamo cercato per 6 giorni di portare carburante e forniture mediche al nord e per 6 giorni le restrizioni di movimento ci hanno impedito di viaggiare. I miei colleghi a Gaza hanno affrontato la stessa sfida per settimane prima del mio arrivo. Le famiglie del nord hanno un disperato bisogno di questo carburante per far funzionare le infrastrutture idriche e igieniche. Stanno ancora aspettando.

Secondo – la logistica: Gli aiuti non sono ancora sufficienti – ieri sono entrati solo 139 camion (73 da Rafah e 66 da KS). Il processo di ispezione rimane lento e imprevedibile. E alcuni dei materiali di cui abbiamo disperatamente bisogno continuano a essere limitati, senza una chiara giustificazione. Tra questi, i generatori per alimentare le strutture idriche e gli ospedali e i tubi di plastica per riparare le infrastrutture idriche gravemente danneggiate.

Inoltre, una volta che gli aiuti arrivano, ci sono notevoli difficoltà a distribuirli nella Striscia di Gaza, in particolare nel nord e recentemente anche nella zona centrale.

I frequenti blackout delle comunicazioni rendono estremamente difficile coordinare la distribuzione degli aiuti e far sapere alla gente come accedervi e quando.

La congestione nel sud, dovuta al massiccio sfollamento e agli intensi bisogni, comporta continui episodi di persone disperate che fermano i camion e cercano di accaparrarsi tutto ciò che possono. La carenza di carburante e di camion all’interno della Striscia e i gravi danni alle strade rendono gli spostamenti più lenti e meno frequenti.

Terzo – il commercio: gli aiuti umanitari da soli non sono sufficienti. Il volume dei beni commerciali in vendita nella Striscia di Gaza deve aumentare, e in fretta. Sono necessari almeno 300 camion di merci commerciali private che entrino ogni giorno. Questo aiuterà la gente ad acquistare beni di prima necessità, ad alleviare la tensione della comunità e a incentivare i programmi di assistenza in denaro offerti dall’Unicef e da altri.

Ma stiamo assistendo a ben pochi cambiamenti e, francamente, le conseguenze si misurano quotidianamente con la perdita di vite di bambini.

Un cessate il fuoco immediato e duraturo è l’unico modo per porre fine all’uccisione e al ferimento dei bambini e delle loro famiglie e per consentire l’invio urgente di aiuti disperatamente necessari. Ma mentre continuiamo a chiedere e a spingere affinché ciò avvenga, abbiamo urgentemente bisogno che:

·         Vengano aperti tutti i valichi di accesso alla Striscia di Gaza;

·         I processi di approvazione e ispezione degli aiuti siano più rapidi, efficienti e prevedibili;

·         Le attività del settore commerciale/privato riprendano;

·         Una maggiore quantità di carburante entri immediatamente e possa attraversare la Striscia di Gaza;

·         I canali di telecomunicazione siano affidabili e ininterrotti;

·         Ci sia una maggiore capacità di trasporto all’interno della Striscia di Gaza;

·         Le infrastrutture civili, come scuole e ospedali, devono essere protette;

·         Ci sia accesso al nord della Striscia di Gaza, per permetterci di raggiungere bambini e famiglie vulnerabili che hanno un disperato bisogno di aiuti umanitari.

Infine, i due bambini israeliani rapiti devono essere rilasciati senza condizioni e in sicurezza. Questa violenza deve cessare ora”.

Cento giorni con gli occhi dei bambini. Un Rapporto di Save the Children

“Più di 10.000 bambini sono stati uccisi dagli attacchi aerei e dalle operazioni di terra israeliane nella Striscia in quasi 100 giorni di violenza, secondo il Ministero della Salute di Gaza, e migliaia sono dispersi, presumibilmente sepolti sotto le macerie. Lo afferma Save the Children, l’Organizzazione che da oltre 100 anni lotta per salvare i bambini e le bambine a rischio e garantire loro un futuro.

Domenica 14 gennaio segnerà la triste pietra miliare di 100 giorni di guerra, durante i quali, secondo gli ultimi dati del Ministero della Sanità di Gaza, più di 10.000 degli 1,1 milioni di bambini di Gaza – ovvero l’1% della popolazione infantile totale – sono stati uccisi. I minori rappresentano oltre il 40% delle persone uccise a Gaza dall’inizio dell’attacco contro Israele il 7 ottobre e dall’escalation di violenza nei Territori palestinesi occupati.

I bambini di Gaza sopravvissuti alla violenza stanno sopportando orrori indicibili, tra cui ferite mortali, ustioni, malattie, cure mediche inadeguate e la perdita dei genitori e di altre persone care. Sono stati costretti a fuggire dalla violenza, spesso ripetutamente, senza un posto sicuro dove andare, e ad affrontare il terrore di un futuro incerto. Circa 1.000 bambini a Gaza hanno perso una o entrambe le gambe, molti le hanno avute amputate senza anestesia e avranno bisogno di cure mediche per tutta la vita.

 “La guerra ci ha colpito così duramente. Abbiamo dovuto lasciare le nostre case e non potevamo fare nulla. Durante la guerra abbiamo imparato molte cose, ad esempio quanto sia importante risparmiare acqua. Spero che la guerra finisca e che potremo vivere in pace e sicurezza” ha detto Lana*, una ragazzina di 11 anni a Rafah, nel sud di Gaza.

Save the Children afferma che nei 100 giorni di violenza iniziati il ​​7 ottobre è stato segnalato un numero record di gravi violazioni contro i bambini, tra cui:

370 scuole danneggiate o distrutte a Gaza,
94 ospedali e strutture sanitarie attaccati a Gaza,
più di 1.000 bambini palestinesi hanno perso una o entrambe le gambe a circa 1,1 milioni di bambini – l’intera popolazione infantile di Gaza – è stato negato l’accesso a un’adeguata assistenza umanitaria rapimenti di bambini in Israele e 33 bambini israeliani uccisi.

 “Per ogni giorno trascorso senza un cessate il fuoco definitivo, sono stati uccisi in media 100 bambini. Non potrà mai esserci alcuna giustificazione per la loro uccisione. La situazione a Gaza è orrenda e rappresenta una piaga per tutta l’umanità. Per quasi 100 giorni, i più piccoli hanno pagato il prezzo di un conflitto a cui non hanno preso parte. Sono terrorizzati, feriti, mutilati, sfollati. L’1% della popolazione infantile di Gaza è già stata uccisa dai bombardamenti e dalle operazioni di terra israeliane. Altri rischiano di essere uccisi dalla fame e dalle malattie, mentre la carestia è sempre più vicina. Il danno mentale inflitto e la totale devastazione delle infrastrutture, tra cui case, scuole e ospedali, hanno decimato il futuro dei minori sopravvissuti. Nonostante il numero record di bambini uccisi e mutilati, la comunità internazionale continua a non agire. Ogni grave violazione commessa contro i bambini è inaccettabile. Negli ultimi tre mesi, i minori di Gaza hanno dovuto affrontare ogni giorno gravi violazioni, e ad oggi non ci sono ancora le condizioni per fornire loro l’assistenza umanitaria di cui hanno bisogno. Tutte le parti devono concordare ora un cessate il fuoco definitivo”, annota Jason Lee, Direttore di Save the Children per i Territori Palestinesi Occupati.

L’Organizzazione chiede un cessate il fuoco definitivo per salvare e proteggere la vita dei bambini a Gaza e invita il governo israeliano a consentire il flusso illimitato di aiuti e la ripresa dell’ingresso di beni commerciali nella Striscia per evitare che i minori perdano la vita e debbano lottare contro, fame e malattie.

Save the Children fornisce servizi essenziali e sostegno ai bambini palestinesi dal 1953. Il team dell’Organizzazione nei Territori palestinesi occupati lavora 24 ore su 24, predisponendo aiuti vitali per sostenere le persone bisognose e per trovare un modo per far arrivare assistenza a Gaza”.

Cento giorni. E non è finita.

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